Ti è mai venuto in mente di chiedere all’intelligenza artificiale di scrivere per te una canzone? Magari spinto dalla tua curiosità, per sperimentare, o per capire fino a che punto una macchina possa emulare il lavoro umano e la sua creatività. Ma dopo aver ottenuto il risultato vi è forse sorta una domanda pressoché spontanea…chi ne detiene i diritti? La persona che comanda la macchina, l’AI o nessuno? Questo è un interrogativo sempre più comune, perché ormai gli strumenti di intelligenza artificiale generativa (capaci di creare testi, canzoni, immagini, musica e tanto altro…) sono parte della vita di tutti i giorni. Dietro questo quesito però si nasconde un terreno legale ancora tanto difficile da mappare.
L’AI generativa funziona elaborando grandissime quantità di dati e informazioni, imparando a riconoscerne gli schemi e le relazioni. Su questa base crea nuovi contenuti che sembrano originali, ma possono essere intese come “opere” ai sensi del diritto d’autore? E se la risposta è sì, chi deve essere riconosciuto come autore?
Nel diritto tradizionale, viene chiamato autore colui che, attraverso un lungo processo creativo, imprime la propria individualità in un’opera. È l’essere umano che sceglie, combina e scarica la propria umanità nell’opera, e la legge tutela proprio questa componente intima e personale della persona. Negli Stati Uniti, il Copyright Act del 1976 parla di “works of authorship”, riferendosi in maniera più che chiara a opere frutto dell’ingegno umano. In Europa, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito che un’opera viene protetta se riflette direttamente “l’impronta della personalità” del suo autore. In entrambi i casi, quello americano e ed europeo, la centralità dell’uomo nel processo creativo è considerata un requisito essenziale.
Ma cosa succede quando un contenuto viene generato da un algoritmo? La risposta varia da ordinamento ad ordinamento. Negli Stati Uniti, la United States Copyright Office ha stabilito in maniera chiara che le opere create interamente dall’AI non possono essere tutelate dal copyright, in quanto manca la componente umana necessaria. Tuttavia, se l’essere umano interviene in modo creativo – modificandolo, selezionando o riorganizzando il contenuto – quella parte dell’opera può essere soggetta a tutela. Questa posizione è stata però ribaltata nel rapporto “Copyright and Artificial Intelligence”, pubblicato nel gennaio 2025, che spiega e definisce il prompt come uno strumento utile ma non sufficiente per attribuire la paternità dell’opera.
In Europa la situazione appare più fluida, non esiste ancora una disciplina univoca a tutela dell’argomento, e la protezione dipende spesso dal grado dell’intervento umano nell’opera. Lo studio “Generative AI and Copyright – Training, Creation, Regulation”, prodotto dal Parlamento Europeo e dall’Ufficio dell’Unione Europea per la Proprietà Intellettuale (EUIPO), sottolinea come l’attuale normativa non sia del tutto adeguata alle repentine tecnologie. La mancanza di regole chiare crea sempre più incertezze, soprattutto quando i sistemi di AI vengono addestrati su dataset che contengono opere protette senza autorizzazione, come avviene nel caso di tantissimi generatori di immagine e musica.
Un esempio emblematico è il caso del fumetto “Zarya of the Dawn”, illustrato con il software Midjourney negli Stati Uniti. Il Copyright Office ha riconosciuto la protezione solo per i testi scritti dall’autrice e non le immagini AI, il caso ha riacceso il dibattito sulla distinzione tra creazione umana e produzione automatizzata. Il tema del data mining sta diventando un punto nodale, le AI generative vengono spesso addestrate utilizzando materiali dal web, spesso opere protette.
Lo studio dell’EUIPO spiega come il text and data mining, consentito in casi specifici come la ricerca o l’innovazione, può entrare in conflitto con i diritti dei creatori se effettuato senza le licenze adeguate! Il problema non riguarda solamente la proprietà intellettuale, ma anche la trasparenza dei modelli di addestramento e la tracciabilità delle fonti.
Intanto, le autorità di diversi paesi stanno ancora cercando di adattare la normativa. Negli Stati Uniti, la Copyright Office ha proposto nuovi metodi e criteri per la registrazione delle opere che contengono elementi generati da AI, chiedendo agli autori quali parti siano state realizzate da esseri umani e quali da algoritmi. In Europa, l’EUIPO e la Commissione stanno valutando la possibilità di introdurre obblighi di trasparenza sui contenuti generati, mentre il Parlamento Europeo discute modelli di licenza collettiva per gestire l’uso dei dati di addestramento.
Le conseguenze di queste decisioni si promulgano a tutti i settori creativi: musica, nell’arte digitale, nella scrittura ecc.
In ognuno di questi casi, la questione non è solo chi sia l’autore, ma anche quanto valore si possa effettivamente attribuire a un atto creativo privo di intenzionalità umana.
Per ora, la risposta più condivisa tra i giuristi è che l’intelligenza artificiale, non è soggetto di diritto e non può detenere diritti d’autore. L’essere umano rimane al centro della questione, ma con un ruolo che sta sempre più cambiando: da creatore diretto a curatore, selezionatore o interprete dell’opera generata da una macchina. La linea tra ispirazione e sostituzione, però, resta sottile.
La vera sfida non è quella legale, ma culturale. Se il diritto d’autore nasce per proteggere l’espressione individuale, dovrà ora confrontarsi con un tipo di creatività che si costruisce a partire da miliardi di opere già pre-esistenti. Il quesito non è più solo chi possiede il risultato, ma anche cosa significa davvero “creare” in un’epoca in cui anche le macchine imparano a farlo.
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