A cena con i propri genitori vi è forse capitato di sentire frasi del tipo “L’arte moderna non è vera arte”. Bhe, partiamo dal fatto che spesso si confondono i periodi artistici. L’arte moderna è quel movimento tra fine ‘800 e metà ‘900, con pittori e scultori che hanno rivoluzionato completamente la forma e il colore come artisti del calibro di Picasso, Van Gogh e Frida Kahlo.

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L’arte contemporanea invece è tutt’altra storia, non cerca di copiare la realtà, ma di reinterpretarla completamente, mettendola in discussione e trasformandola per esprimere ciò che l’artista sente interiormente. Può essere una performance, un’installazione , una scritta sul muro o un oggetto. Artisti come Marina Abramović,  Ai Weiwei o Olafur Eliasson non mostrano solamente la realtà come la vedi ma ti fanno riflettere e percepire, e a volte anche discutere.

La motivazione per cui tante persone fatica a considerare “vera arte” quella che è l’arte contemporanea nasce da una idea piuttosto radicata: l’arte sarebbe solo ciò che si può guardare e subito riconoscere, che imita in maniera perfetta la realtà in modo fedele, bello e decorativo. Chi invece non è abituato a confrontarsi con un linguaggio diverso e astratto tende a misurare tutto con il metro della realtà, ignorando che l’arte contemporanea ha un obiettivo diverso: quello di stimolare, provocare e sfidare l’osservatore a trovare se stessi all’interno dell’opera ma sia a scoprire quello che l’artista ambiva dimostrare. L’opera non è solo ciò che è visibile, ma include anche il modo in cui il pubblico la interpreta e la completa con la propria esperienza.

Non è dunque questione di gusto o inclinazione artistica, l’arte contemporanea può sembrare strana, astratta o persino “inutile” a chi è abituato alla pittura e alla scultura tradizionale. Ma proprio questa stranezza è la sua forza: un muro su cui sono scritte frasi di Jenny Holzer non è lì solamente per abbellire uno spazio, ma sono momenti in cui lo spettatore diventa parte dell’opera.

Installation view, Jenny Holzer: Light Line, May 17–September 29, 2024, Solomon R. Guggenheim Museum, New York. © 2024 Jenny Holzer, Artists Rights Society (ARS), New York. Photo: Ariel Ione Williams and David Heald © Solomon R. Guggenheim Foundation, New York

Installation view, Jenny Holzer: Light Line, May 17–September 29, 2024, Solomon R. Guggenheim Museum, New York. © 2024 Jenny Holzer, Artists Rights Society (ARS), New York. Photo: Ariel Ione Williams and David Heald © Solomon R. Guggenheim Foundation, New York

Per comprendere al meglio questo stigma, un’opera famosa su TikTok anni fa era “Cant Help Myself” dei cinesi Sun Yuan e Peng Yu. L’opera consiste in un braccio robotico chiuso in una teca di vetro che ha il compito di raccogliere un liquido rosso denso (che simula il sangue) che lentamente si diffonde sul pavimento. Non appena il liquido supera un certo confine invisibile, i sensori attivano il braccio che cerca di riportare il liquido al centro, ma la sostanza continua a fuori uscire, e il ciclo si ripete all’infinito.

Il robot simula quasi una danza, goffi o frustrati, simulando movimenti quasi umani, dando l’impressione di un corpo stanco e sofferente, A molti spettatori, soprattutto su TikTok, l’opera è sembrata strana e ridicola… perchè non somiglia a nulla di ciò che tradizionalmente viene definita “arte”, non è bella o decorativa.  Tuttavia proprio questa stranezza è la sua forza: “Cant Help Myself” provoca riflessioni sul lavoro alienante, sulla fatica quotidiana e sull’inutilità apparente di certi sforzi, rispecchiando la condizione umana contemporanea fatta di routine, stress e compiti ripetitivi che non portano a risultati definitivi. La teca trasparente che contiene il robot richiama la prigionia, il controllo e la sorveglianza. L’opera sfida lo spettatore a confrontarsi con il disagio, l’angoscia e la ripetitività della vita moderna, mostrando che l’arte contemporanea non è pensata per piacere immediatamente, ma per stimolare pensiero, emozione e partecipazione attiva. “Cant Help Myself” non riproduce la realtà visibile come un dipinto o una scultura classica, ma la interpreta in modo alternativo, trasformando la percezione dello spettatore e mettendo in discussione l’idea che la bellezza o la tecnica siano gli unici criteri per riconoscere un’opera come arte. Chi la vede può sentirsi disorientato, disturbato o persino infastidito, ma proprio in questo disorientamento si nasconde la potenza dell’arte contemporanea: costringe a guardare oltre il visibile, a interrogarsi sul proprio ruolo, sulla tecnologia, sul lavoro e sulla società e a comprendere che l’arte può essere provocazione, riflessione e specchio dei tempi, anche quando appare incomprensibile o bizzarra.

 

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