Il maschilismo scacchistico
Gli scacchi sono una disciplina nata nel VII secolo in India e diffusa poi in Europa a partire dal medioevo, sono ormai da secoli considerati simbolo di intelligenza, disciplina e strategia. Tuttavia, nonostante la natura neutrale del gioco, la struttura competitiva degli scacchi dimostra storicamente il contrario, con norme sociali maschiliste e pregiudizi di genere.

Woodcut illustration of chess 1480 — William Caxton (publisher) via Wikipedia
La suddivisione di genere nelle competizioni e nei rating è diventata una pratica ormai consolidata: da un lato esistono tornei chiamati “Open”, aperti a chiunque, dall’altro tornei esclusivamente femminili. Sebbene l’intento inizialmente dichiarato fosse quello di incentivare la partecipazione delle donne, questa separazione ha consolidato una mentalità in cui gli uomini sarebbero “più forti” e le donne “meno competitive”, creando un divario più culturale che reale…
Sono stati istituiti anche i titoli riservati esclusivamente alle donne, come WGM (Woman Grandmaster) e WIM (Woman International Master) paralleli ai titoli GM (Gran Maestro) e IM (International Master). I requisiti di punteggio però sono inferiori rispetto ai titoli open, il che crea una gerarchia implicita che spesso svaluta le conquiste femminili

Punteggi minimi per conseguire i titoli (+ le norme)
Oggi, la separazione di genere nei tornei di scacchi non è più semplicemente una misura di supporto, ma un riflesso di un maschilismo strutturale: un sistema che continua a definire chi “merita” visibilità e titoli di prestigio, ignorando l’evidenza che le differenze di rendimento tra giocatori non dipendono dal genere. Questo meccanismo non solo limita le donne cis, ma rende ancora più controversa la partecipazione delle persone transgender, obbligate a confrontarsi con regole antiquate e discriminazioni istituzionali.



